Che noia questo marketing

DA REPUBBLICA DI OGGI

Don Henley: “Che noia questo marketing,
siamo vecchi ma la nostra musica resta viva”

di ERNESTO ASSANTE

Parla il fondatore degli Eagles, il gruppo americano che sfornò tanti successi negli anni Settanta (e il secondo disco più venduto nella storia della musica). E annuncia il concerto esclusivo del 2 luglio a Lucca

ROMA – Quando si parla di successi discografici da Guinness vengono subito in mente Michael Jackson con il suo Thriller o i Beatles, recordman indiscussi di vendita di dischi. E ci si dimentica, invece, degli Eagles, che dopo quello di Jackson hanno realizato il secondo disco più venduto della storia della musica, il loro best of, che raccoglie alcune delle loro più belle canzoni. Un successo prolungato, costante, ha baciato tutta l’avventura degli Eagles che oggi, sopravvissuti al passaggio delle mode, sono ancora in grado di offrire, specialmente dal vivo, il meglio della loro formula, in bilico tra rock, pop, country, una miscela americana al 100% che ha segnato in maniera indelebile non solo la musica anni Settanta ma lo sviluppo del mainstream pop nei decenni successivi. Gli Eagles tornano in concerto in Italia, per un unica data, quella che inaugura la nuova edizione del Lucca Summer Festival, il 2 luglio, e per l’occasione abbiamo scambiato due chiacchiere con Don Henley, fondatore della band. “Ne abbiamo parlato a lungo tra di noi, è un miracolo, un grande regalo. Rimanere sulla scena per così tanti anni è un onore. Qualche tempo fa un giornalista di Rolling Stone parlava con Robert Plant della possibilità di tornare sul palco con i Led Zeppelin e Plant ha citato gli Eagles, dicendo ‘loro non lo fanno per i soldi, ma perché si annoiano’. Beh, l’ho trovato ingiusto: non siamo annoiati, ci divertiamo, amiamo la musica e siamo fortunati, anzi ‘blessed’, benedetti, perché riusciamo ancora a suonare dal vivo con entusiasmo e passione”.

Avevate mai pensato che sareste arrivati al 2014?
“No, era davvero impossibile pensare in questi termini allora. Pensavamo di durare magari cinque o sei anni, erano i tempi in cui si credeva che a trent’anni sarebbe finito tutto. Quando sei molto giovane non guardi lontano, e un gruppo in generale non dura a lungo. Siamo un’eccezione alla regola, non accade molto spesso che una band abbia una storia così lunga”.

Certi concerti sono fatti solo di “best of”, voi invece avete in repertorio cose diverse.
“Nello show ci sono canzoni degli inizi, brani che per il pubblico più giovane non sono molto familiari. Il brano con cui apriamo è preso da Desperado, ad esempio, e molti fan di oggi sono troppo giovani per ricordarla. Sì, ci piace suonare canzoni che non sono successi, brani che ci definiscono, che amiamo particolarmente. Certo, non ci dispiace suonare gli hit, non siamo una band ‘selfish’, non suoniamo solo per noi stessi. Vogliamo che la gente si diverta, del resto il pubblico paga per sentirci suonare ed è giusto che abbia quello che vuole, ma cerchiamo di fare un giusto mix, per dare un’idea di cosa sono esattamente gli Eagles. Pare che funzioni”.

La scena musicale è molto cambiata dai vostri esordi negli anni Settanta…
“Non sono molto contento di come vanno le cose oggi. Troppo facile attribuire tutte le responsabilità alla rivoluzione digitale. La verità è che le vendite dei dischi dal 2000 si sono dimezzate e che l’interesse del pubblico per la musica è cambiato. Il business ruota attorno ai talent, al successo istantaneo, e non credo sia un bene. Noi abbiamo lavorato per anni nei club, in piccoli locali, abbiamo fatto una lunga strada. Chi arriva dai talent avrà magari l’illusione di una carriera, ma è un business che ruota attorno alla celebrità: il pubblico è più interessato a come sono vestiti o con chi sono fidanzati che alla musica. So di sembrare un vecchio nostalgico, ma suonare per noi aveva a che fare con la vita, parlavamo di quello che accadeva attorno a noi, c’erano i temi ambientali, la guerra, i diritti delle donne e le battaglie per i diritti civili, ci piaceva anche divertirci ma nulla era solo per la fama e i soldi. Oggi non vedo nessuna profondità e questo mi addolora”.

Magari è una fase che prima o poi terminerà…
“Possibile per quel che riguarda la musica, ma di certo la tecnologia non tornerà indietro. I dischi non torneranno, c’è il vinile ma è solo per pochi, magari arriverà qualche nuovo supporto. Ci sarà sempre gente pronta a fare musica bella e significativa, ma non so come faranno a vivere, a guadagnare per andare avanti”.

E lei?
“Ho un album che uscirà a settembre, e non sarà facile. Non ho l’età giusta per questo mercato, le radio non trasmettono la tua musica se sei vecchio, per farmi ascoltare devo fare video e apparire in stupidi programmi televisivi. Non fa per me”.

Allora cosa la spinge a continuare?
“La voglia di scrivere canzoni. Ci sono tante cose che mi spingono a scrivere, quello che vedo attorno a me, e soprattutto i miei cambiamenti. Alcune delle canzoni del nuovo album parlano del diventare vecchio, della diversa prospettiva che ti porta l’età, del vedere il mondo con occhi diversi e di come il mondo sia diventato pazzo. Ci sono cose diverse nella mia mente oggi, sono vecchio, ma non mi dispiace, perché non sono nostalgico. Voglio pensare al futuro, non alla pensione, voglio continuare a fare musica che sia vitale e finché ho forza continuare a suonare dal vivo”.

Rimpianti?
“Non ne ho, anche se penso che avremmo dovuto fare cose diverse con gli Eagles, che abbiamo perso un sacco di tempo comportandoci da ragazzi stupidi e facendo cose sbagliate. Ma essere stupidi e sbagliare fa parte dell’essere giovani e credo di aver gestito bene anche quella fase della mia vita. Avremmo potuto essere un po’ più maturi, avremmo potuto fare altre grandi cose insieme nel momento giusto, ma anche se non è stato così sono contento della nostra storia”.
Don Henley

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Scroll to Top